Possono partire le uscite in anticipo dal lavoro in quelle realtà imprenditoriali dove il numero dei dipendenti è superiore a 15: ora per trarre in salvo i possibili esodati possono essere attivati gli accordi aziendali.
A seguito di questi due differenti approcci, dovrà essere trovata l’intesa tra committente e lavoratore, per porre in essere la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e tramutando, così, il dipendente in esodato volontario.
Ciò, naturalmente, andrà sottoscritto dall’interessato lavoratore, il quale, se dovesse rifiutarsi di lasciare il posto di lavoro, vedrà decadere gli effetti dell’accordo collettivo stipulato anche nei suoi confronti.
Lo stesso accade qualora egli non abbia maturato nei termini indicati i requisiti minimi di accesso al trattamento pensionistico.
Infine, tra le opzioni disponibili per il ritiro dal lavoro, che in questo caso sarebbe obbligatorio, figura anche la mobilità, secondo la disciplina del licenziamento collettivo sulle regole stabilite dalla legge 223/1991. In questo caso, però, non si attiva la mobilità come da norma, ma il lavoratore verrà iscritto al programma di erogazione del trattamento previdenziale cui si ha diritto fino al momento del ritiro.
A questo proposito, l’Inps specifica che il compenso erogato dal datore di lavoro si costituirà di due caratteristiche:in primis la prestazione, che sostituisce di fatto la retribuzione, identica all’assegno di pensione che il dipendente avrebbe ottenuto dal momento della maturazione dei requisiti.
Oltre a questa parte più “canonica”, l’incentivo all’esodo si compone di una contribuzione figurativa che l’impresa verserà alle casse della previdenza fino all’attivazione della pensione stessa. Il suo ammontare sarà pari alla media delle retribuzioni mensili per l’ultimo biennio prima della conclusione del rapporto di lavoro.